sabato 21 gennaio 2012

catullo e la poesia neoterica


La poesia neoterica è un movimento letterario che si sviluppa a Roma nell'età di Cesare. Questo tipo di poesia era fatta dai neoteroi (o poetae novi), così chiamati da Cicerone che coniò queste espressioni usandole in modo ironico e dispregiativo, per designare questo gruppo di poeti poiché disapprovava per ragioni ideologiche il marcato distacco dalla tradizione della poesia romana arcaica (i poeti prendevano dunque le distanze da quello che era chiamato mos maiorum).

La poesia neoterica è chiaramente ispirata alle concezioni alessandrine. Il maggior esponente dell'estetica alessandrina è Callimaco. Egli in una sua elegia collocata all'inizio dell'Aitia esprime una polemica contro i poeti tradizionali dicendo:
 "...Contro la mia poesia mormorano i Telchini-gente ignorante che della musa non è amica- poiché su re o eroi un poema unico e continuato non ho realizzato in molti versi...ma in breve svolgo il mio canto come un bambino, anche se non poche sono le decine dei miei anni..." 

Famosa è anche l'espressione "Mega biblìon, mega kakòn" (grande libro, grande male). In queste espressioni è chiaramente e completamente riscontrabile il manifesto della poetica alessandrina. Questa aveva quindi una chiara avversione verso i tradizionali poemi epici che narravano di eroi poiché erano una lunga narrazione in versi esametri, e in quanto tale secondo Callimaco il poeta (aedo o rapsodo) non poteva curarne l'eleganza e la raffinatezza.
La poesia secondo Callimaco doveva essere una creazione lieve, delicata, breve nellestensione (oligóstichos) ma estremamente rifinita e raffinata, rifiutando la grandiosità e la magniloquenza dell'epos (la poesia epica, per esempio quella di Omero).
La poesia alessandrina era così composta in forme più agili e meno impegnative dell'epos: epigramma, giambo, elegia e epillio (poemetto mitologico, con cui Callimaco aveva tentato di rinnovare l'epica tradizionale).
Il manifesto poetico callimacheo fu pienamente assunto anche dai neoteroi.
Le caratteristiche tecniche principali della poesia neoterica sono:
Brevitas: Componimenti molto brevi, erano convinti che solamente un carme di piccole dimensioni può esser composto con la necessaria cura per farne un'opera veramente raffinata;
Labor limae: Componimenti molto ricercati e raffinati stilisticamente, e quindi "leggeri e disimpegnati" solo nei contenuti, ma non nella forma poiché veniva impiegato il massimo impegno. Questa tecnica consisteva in una continua ed accurata revisione dei propri componimenti, con lo scopo di raggiungere l'estrema perfezione ndal punto di vista stilistico e letterario;
Doctrina: Riferimenti molto ricercati sia dal punto di vista mitografico che geografico e anche linguistico. Per questo saranno anche detti docti (dotti).

Gaio Valerio Catullo (Verona 84 a. C. – Roma 54 a. C.)

Catullo è uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neoteroi (cioè "poeti nuovi"), i quali si richiamavano direttamente al poeta greco Callimaco, il quale creò un nuovo stile poetico che rappresenta una netta cesura verso la poesia epica di tradizione omerica. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei (eccezion fatta, forse, per i carmina 63 e 64) ma si concentrano su tematiche legate ad episodi semplici e quotidiani. Da questa matrice callimachea accresce anche il gusto per la poesia breve, erudita e stilisticamente perfetta. Si sviluppano, originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco, Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos ed Arato, generi quali l'epillio, l'elegia erotico-mitologica, l'epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti latini.
Catullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè "levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono particolarmente elaborati e curati. Inoltre, al contrario della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni profonde nel lettore.
Catullo apprezzava molto anche la poetessa greca Saffo, vissuta nel VI secolo a.C.: del resto, gli stessi carmina del poeta romano costituiscono una fonte grazie alla quale è possibile conoscere l'opera della poetessa greca. In particolare, il carmen catulliano numero 51 è una traduzione della poesia 31 di Saffo, mentre i carmina 61 e 62 sono con tutta probabilità ispirati a lavori perduti della poetessa di Lesbo. Questi ultimi due componimenti sono degli epitalami, cioè poesie d'amore dedicate al matrimonio. Saffo, del resto, era molto famosa per i suoi epitalami (questa forma poetica, tuttavia, cadde poi in disuso nei secoli successivi). Catullo, inoltre, recuperò e diffuse a Roma un particolare tipo di metro detto "strofe saffica", molto usato da Saffo.



2
Passero, passero dell'amor mio:
ti tiene in seno, gioca con te,
porge le dita al tuo assalto,
provoca le tue beccate rabbiose.
Come si diverta l'anima mia
in questo gioco, trovando conforto
al suo dolore, non so; ma come lei,
quando si placa l'affanno d'amore,
anch'io vorrei giocare con te
e strapparmi dal cuore la malinconia.

3 
Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava piú degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.

4 
Questo battello che vedete, amici,
si vanta d'essere stato una nave
cosí veloce che mai nessun legno
poté superarlo in gara, volando
con le ali dei remi o delle vele.
Certo ne possono far fede i porti
dell'Adriatico infido o le Cicladi,
la luminosa Rodi, il mar di Marmara
agitato o l'orribile mar Nero
dove fu, prima d'essere battello,
foresta oscura: sul monte Citoro
la sua voce fischiava tra le foglie.
Questo, Amastri, questo tu lo sapevi,
dice a battello, e i bossi del Citoro
lo sanno ancora, sin dal tempo in cui
si alzava sopra la tua cima o quando
immerse i remi dentro le tue acque
e poi di là per mari tempestosi
condusse il suo padrone sulla rotta
dove spirava il vento col favore
che nelle vele v'imprimeva Giove:
nessun voto agli dei dovette rendere
nei porti, navigando da quel mare
del diavolo a questo limpido lago.
Acqua passata: ora solitario
invecchia in pace e si dedica a voi,
a te Castore e al gemello tuo.
  
5
Godiamoci la vita, mia Lesbia, l'amore,
e il mormorio dei vecchi inaciditi
consideriamolo un soldo bucato.
I giorni che muoiono possono tornare,
ma se questa nostra breve luce muore
noi dormiremo un'unica notte senza fine.
Dammi mille baci e ancora cento,
dammene altri mille e ancora cento,
sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia
per scordare tutto ne imbroglieremo il conto,
perché nessuno possa stringere in malie
un numero di baci cosí grande.

8 
Povero Catullo, basta con le illusioni:
se muore, credimi, ogni cosa è perduta.
Una fiammata di gioia i tuoi giorni
quando correvi dove lei, l'anima tua voleva,
amata come amata non sarà nessuna:
nascevano allora tutti i giochi d'amore
che tu volevi e lei non si negava.
Una fiammata di gioia quei giorni.
Ora non vuole piú: e tu, coraggio, non volere,
non inseguirla, come un miserabile, se fugge,
ma con tutta la tua volontà resisti, non cedere.
Addio, anima mia. Catullo non cede piú,
non verrà a cercarti, non ti vorrà per forza:
ma tu soffrirai di non essere desiderata.
Guardati, dunque: cosa può darti la vita?
Chi ti vorrà? a chi sembrerai bella?
chi amerai? da chi sarai amata?
E chi bacerai? a chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, resisti, non cedere.


13 
Se dio vorrà, uno di questi giorni,
mio Fabullo, da me cenerai bene:
ma con te porta una cena abbondante
e squisita, una ragazza in fiore,
vino, sale e tutta la tua allegria.
Solo cosí, ripeto, amico mio,
cenerai bene, perché il tuo Catullo
ha la borsa piena di ragnatele.
In cambio avrai un affetto sincero
e tutto ciò che è bello e raffinato:
ti darò un profumo che la mia donna
ha avuto in dono da Venere e Amore.
Quando l'odorerai, prega gli dei,
Fabullo mio, di farti tutto naso.

51 
Simile a un dio mi sembra che sia
e forse piú di un dio, vorrei dire,
chi, sedendoti accanto, gli occhi fissi
ti ascolta ridere
dolcemente; ed io mi sento morire
d'invidia: quando ti guardo io, Lesbia,
a me non rimane in cuore nemmeno
un po' di voce,
la lingua si secca e un fuoco sottile
mi scorre nelle ossa, le orecchie
mi ronzano dentro e su questi occhi
scende la notte.

70 
Solo con te farei l'amore, dice la donna mia,
solo con te, anche se mi volesse Giove.
Dice: ma ciò che dice una donna a un amante impazzito
devi scriverlo sul vento, sull'acqua che scorre.

72 
Dicevi di far l'amore solo con me, una volta,
e di non aver voglia, Lesbia, neppure di Giove.
E io ti ho amato non come tutti un'amante,
ma come un padre ama ognuno dei suoi figli.
Ora so chi sei: e anche se piú intenso è il desiderio
ti sei ridotta per me sempre piú insignificante e vile.
Come mai, mi chiedi? Queste offese costringono,
vedi, ad amare di piú, ma con minore amore.




75 
Cosí per colpa tua, mia Lesbia,
mi è caduto il cuore
e cosí si è logorato nella sua fedeltà,
che ormai non potrebbe piú volerti bene
anche se fossi migliore
o cessare d'amarti
per quanto tu faccia.

85 
Odio e amo. Me ne chiedi la ragione?
Non so, cosí accade e mi tormento.

92 
Lesbia sparla sempre di me, senza respiro
di me: morissi se Lesbia non mi ama.
Lo so, son come lei: la copro ogni giorno
d'insulti, ma morissi se io non l'amo.
  
101 
Di mare in mare, da un popolo all'altro
vengo a queste tue misere esequie, fratello,
per donarti l'ultima offerta che si deve ai morti
e invano parlare alle tue ceneri mute:
ora che la sorte a me ti ha strappato,
cosí crudelmente strappato, fratello infelice.
Pure, amaro dono per un rito estremo,
nell'uso antico dei padri accogli l'offerta
che ora ti affido: cosí intrisa del mio pianto.
E in eterno riposa, fratello mio, addio.

107 
Se contro ogni speranza ottieni
ciò che desideravi in cuore,
una gioia insolita ti prende.
E questa è la mia gioia,
piú preziosa dell'oro:
a me tu ritorni, a me, Lesbia,
a un desiderio ormai senza speranza,
al mio desiderio ritorni,
a me, a me tu ti ridai.
O giorno luminoso!
Chi vivrà piú felice?
chi potrà mai pensare vita
piú, piú desiderabile di questa?