mercoledì 7 settembre 2011

odysseus

trovate qui  di seguito il testo della canzone gucciniana, necessario per capire alcune cose sulla figura metatestuale di Ulisse.




Bisogna che lo affermi fortemente
che, certo, non appartenevo al mare
anche se i Dei d’Olimpo e umana gente
mi sospinsero un giorno a navigare
e se guardavo l’isola petrosa,
ulivi e armenti sopra a ogni collina
c’era il mio cuore al sommo d’ogni cosa,
c’era l’anima mia che è contadina,
un’isola d’aratro e di frumento
senza le vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento,
il vino e l’olio erano i miei ori....

Ma se tu guardi un monte che hai di faccia
senti che ti sospinge a un altro monte,
un’isola col mare che l’abbraccia
ti chiama a un’altra isola di fronte
e diedi un volto a quelle mie chimere,
le navi costruii di forma ardita,
concavi navi dalle vele nere
e nel mare cambiò quella mia vita...
E il mare trascurato mi travolse,
seppi che il mio futuro era sul mare
con un dubbio però che non si sciolse,
senza futuro era il mio navigare...

Ma nel futuro trame di passato
si uniscono a brandelli di presente,
ti esalta l’acqua e al gusto del salato
brucia la mente
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito
a ogni incontro ridisegnare il mondo
e perdersi nel gusto del proibito
sempre più in fondo...
E andare in giorni bianchi come arsura,
soffio di vento e forza delle braccia,
mano al timone, sguardo nella prua,
schiuma che lascia effimera una traccia,
andare nella notte che ti avvolge
scrutando delle stelle il tremolare
in alto l’Orsa è un segno che ti volge
diritta verso il nord della Polare.
E andare come spinto dal destino
verso una guerra, verso l’avventura
e tornare contro ogni vaticino
contro gli Dei e contro la paura.

E andare verso isole incantate,
verso altri amori, verso forze arcane,
compagni persi e navi naufragate
per mesi, anni, o soltanto settimane...
La memoria confonde e dà l’oblio,
chi era Nausicaa, e dove le sirene?
Circe e Calypso perse nel brusio
di voci che non so legare assieme,
mi sfuggono il timone, vela, remo,
la frattura fra inizio ed il finire,
l’urlo dell’accecato Polifemo
ed il mio navigare per fuggire...

E fuggendo si muore e la mia morte
sento vicina quando tutto tace
sul mare, e maledico la mia sorte,
non provo pace,
forse perché sono rimasto solo,
ma allora non tremava la mia mano
e i remi mutai in ali al folle volo
oltre l’umano...

La via del mare segna false rotte,
ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un’eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti sconosciuti prima...